TUTTI I SOLDI DEL MONDO: il film di Ridley Scott salvato da Christopher Plummer

ROMA – Un buon film, un ottimo regista, un bravo direttore luci, un cast fisicamente azzeccato, una storia di cronaca che ha destato scalpore… Gli ingredienti ci sono tutti per celebrare l’ultima pellicola girata da Ridley Scott che cede alla storia e alla realtà dei fatti dando fiducia ad una sceneggiatura che, firmata dall’italo-americano David Scarpa sull’omonimo libro di John Pearson dal titolo “Painfully Rich: the Outrageous Fortunes and Misfortunes of the Heirs of J. Paul Getty”, si rivela pero’ un tantino romanzata secondo i canoni classici del cinema di cassetta.

Non bisogna pero’ pensare a “Tutti i soldi del mondo”, in uscita in questi giorni nelle sale italiane, come un reportage realistico degli anni Settanta, epoca in cui la ‘ndrangheta calabrese sequestrò il nipote dell’uomo piu’ ricco del mondo, fondatore della Getty Oil, né come la classica avventura hollywoodiana in cerca di consensi per il perfetto ritmo che ci tiene inchiodati per oltre due ore – con animo scosso e mutevole – alle poltrone di una platea cinematografica, ma come a un film di “contesto” giocato su alcune tematiche – il valore dei soldi e il concetto relativo e soggettivo della famiglia – che si dipana, complice proprio la sceneggiatura per tutto il tempo della pellicola.

Sebbene si tratti di un caso di attualità, e quindi sorretto da una trama con un inizio un po’ tormentato – ricco di flashback e forward che mettono in difficoltà lo spettatore nella totale immedesimazione con l’azione e con la comprensione degli antecedenti biografici della fortuna di Getty sr, vero cardine del film (anche se di attore non protagonista si parla in questo caso), è in realtà Christopher Plummer che interpreta il magnate. Aldilà dei fatti di cronaca scandalistica, che ha obbligato Plummer a reinterpretare il personaggio tolto volutamente da Scott a Kevin Spacey a pellicola già editata per i noti abusi sessuali di cui è stato accusato, l’attore sembra incarnare alla perfezione non solo l’attaccamento al denaro e all’eccessiva oculatezza nel suo dispendio, come emergerebbe dalla sceneggiatura, ma ogni dettaglio di una personalità contorta che, a partire dalla sfida di un padre aggressivo poi trasmessa al suo stesso figlio, arriva a considerare le opere d’arte e la Bellezza degli oggetti come il Bene assoluto ed unico a cui poter dar fiducia, aldilà e oltre gli affetti, i sentimenti e gli stessi esseri umani. Una prova d’attore che, unita all’esercizio di stile, impeccabile e virtuoso di Michelle Williams (nel ruolo della madre del sedicenne rapito), vale da solo tutto il film.

Un film che gioca sulle luci per narrare il tempo ed i luoghi – quelli cronologici e quelli dell’anima (dal bianco e nero del passato al calore della redenzione dell’avido Getty) – e che si arrabbatta – nelle descrizioni degli usi e costumi italiani, nel classico déjà vu pregno di cliché e citazioni del nostro cinema “cult”: dal Fellini della “Dolce Vita” e di “Roma” ai “poliziotteschi” anni Settanta, con ritratti spietati e colorati dell’italiano, del Sud in particolare, sia esso rapitore, cittadino, terrorista (la sequenza delle Brigate Rosse rasenta quasi il macchiettistico) o figura istituzionale. Eppure, tra le caratterizzazioni, i nostri attori italiani ne escono meravigliosamente: Marco Leonardi, Nicolas Vaporidis e Giuseppe Bonifati, quest’ultimo in un cameo dell’avvocato della signora Getty, dimostrano stile e si integrano al cast internazionale con nonchalance, in alcuni momenti anche superandolo.

Se si tralascia la vera storia e si bypassano alcune lacune testuali, probabilmente dettate da tagli del copione, che troppo frettolosamente mirano a presentare la condizione di ricchezza, odio e ipocrisia nelle relazioni intime della famiglia Getty scombussolando la percezione del fruitore con una staffetta geografica flash di continenti causa-effetto della fortuna del petroliere (Marocco, Arabia Saudita Stati Uniti, Inghilterra…), si puo’ apprezzare il film per la sua perfetta tecnica di esecuzione. Presentarlo agli Italiani con molti surrogati di caratterizzazione puo’ tuttavia produrre un effetto subliminale che allontana lo sguardo dalla professionalità e precisione dello studio cinematografico compiuto per farlo dirigere verso criticità di non pertinenza, alimentate forse anche dalla troppa finzione costruita sulla trama reale della vicenda. E, ciononostante, sentiamo che i due protagonisti menzionati – senza nulla togliere ai fedeli interpreti Marc Wahlberg, Charlie Plummer e Romain Duris -, saranno in odore di numerosi riconoscimenti!

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