LA CREATIVITA’ SI INCONTRA E CONFRONTA IN VILLA

Mentre si attendono le nomine dei nuovi candidati “pensionnaires” 2021/2021 dell’Accademia di Francia a Roma, abbiamo cercato di esplorare i progetti dei sedici borsisti attualmente ospiti per un anno a Villa Medici il cui lavoro, nonostante le difficoltà causate dalla pandemia, continua a trascorrere incessantemente fomentato dall’esperienza creativa e dalle bellezze ispiratrici della Città Eterna. Ricercatori professionisti e amanti del bello e dell’innovativo in ogni linguaggio artistico, gli attuali pensionnaires provengono da discipline diverse.

In ambito musicale ci sono due compositori.
Noriko Baba, di origini giapponesi, è affascinata dal rapporto tra immagine e suono a livelli di percezione sensoriale. Ha composto “Second wind”, un’opera per 35 strumenti basata sulla ricomposizione di gesti respirati e aspirati. In “Doppio trio” ha ricomposto i pezzi della memoria attraverso frammenti sonori, musicali e testuali, in un armonico assemblaggio tra recitativo, melodia e danza. In “Au clair d’un croissant” (2020) ha cercato di comporre un sogno nell’attimo in cui il sognatore prende coscienza di stare sognando. Nel progetto che sta preparando per la sua residenza a Villa Medici, “Anche io sono pittore”, ha preso spunto dai calligrammi giapponesi per incrociarli alla poesia di Apollinaire nella sinestesia delle arti. Il suo obiettivo è quello di realizzare uno spettacolo artistico-pedagogico con l’utilizzo non solo di strumenti classici ma di oggetti e giochi che possano stimolare l’udito. Anche in un semplice gioco per bambini o per animali si possono infatti intendere suoni che conducano ad una perfetta ed equilibrata linea musicale.
Il progetto di residenza a Villa Medici si intitola Musique au-delà du son – (Musica oltre il suono). Questo progetto di musica ibrida risponde a una logica di assemblaggio e manipolazione di oggetti della cultura, malleabili e pregni di significato, pronti per essere costantemente ricontestualizzati, e che potremmo cogliere come frammenti, resti, tracce, rilievi. Il suo progetto cerca di esplorare vari modi di articolazione di questi frammenti ricomposti attraverso una serie di opere audiovisive, miste e performative.

Anche al cuore della filosofia di Fernando Garnero c’è l’ibridazione scenica e sonora. La sua sperimentazione elettronica con suoni e spazi compone una sorta di partitura grafica virtuale. Fa un uso indifferenziato di voci campionate, rumori, oggetti e respiri per creare un’atmosfera che esprima un concetto. Il suo progetto si intitola Musique au-delà du son e risponde a una logica di assemblaggio e manipolazione di oggetti della cultura, malleabili e pregni di significato, pronti per essere costantemente ricontestualizzati, e che potremmo cogliere come frammenti, resti, tracce, rilievi. “Quello che voglio cercare di ottenere – ci spiega – è una ‘musica aumentata’, in grado di suonare aldilà della cultura tradizionale per ricrearla”. Di recente Garnero ha partecipato al festival Vertixe Sonora con l’opera “Contracolpo” per saxofono e percussioni.

Di comune interesse nei confronti del suono è il lavoro di Adila Bennedjaï-Zou, ricercatrice-documentarista a cui piace mettere insieme e comporre nuove sceneggiature proprio attraverso i suoni, Significativo il suo progetto di creazione sonora in corso, incentrato sul G8 di Genova del 2001, in cui fornisce un apporto soggettivo alla ricostruzione della storia attraverso il sonoro. Crede molto nella condivisione delle esperienze al fine di creare un’opera e farla apprezzare. Il suo studio si concentra sulle voci, le intonazioni e i silenzi, sui quali costruisce un mosaico senza badare troppo ai contenuti dei discorsi. I risultati sonori da lei creati non sono quasi mai neutrali, al contrario: attraverso le voci registrate vuole far sempre succedere qualcosa. In pratica, il suo è un collage di arti viventi in cui si sviluppa un’azione ricca di “incidenti” che ne movimentano l’apparente monotonia. La sua tecnica si basa sulla registrazione di svariate ore di voci che vengono poi sintetizzate in una storia specifica. La sua esplorazione delle varie forme sonore si è aperta alla contaminazione con altri linguaggi artistici nell’ambito audio-video per una continua sperimentazione del nuovo.

Coralie Barbe è invece una restauratrice di libri d’arte da sedici anni, con specializzazione in taccuini d’arte. “Studio la materialità e le origini di un’opera – ci spiega – il tipo di carta, la cucitura e la grafia dell’autore per contestualizzarla nel periodo e società di appartenenza. Questo tipo di opere non sono state studiate molto perché in genere si privilegiano i contenuti e non la forma e la materia che li ospitano”. A Villa Medici lavora a un progetto che si concentra sulla materialità dei quaderni d’artista, in particolare durante il XVIII e XIX secolo, periodo che vede nascere la pratica del disegno all’aria aperta e l’eccezionale sviluppo della produzione di taccuini. Un modo originale e molto raro di rintracciare le storie dietro i cahiers che l’ha già vista operare in molte esposizioni all’interno di musei internazionali.

Appartenenti al contesto letterario c’è Gaylord Brouhot, docente di storia dell’arte, moda e a arti decorative. La sua ricerca vuole evidenziare l’interazione tra la moda rappresentata nei ritratti di Cristina di Lorena e Maria dei Medici e le loro azioni congiunte in Toscana e in Francia per dare impulso a un’economia del lusso internazionale e creare un’immagine mediatica esclusiva dei Medici nel periodo 1589-1636. Due donne legate anche ad una stessa famiglia. Uno studio compiuto attraverso l’iconografia secondo una vera e propria “anatomie vestimentaire”, che analizza i costumi e la tappezzeria delle famiglie principesche e reali alla ricerca di una connessione tra arte visiva e cultura materiale tramite anche una ricerca d’archivio. L’analisi in dettaglio verte sulle differenze tra abiti, gioielli e accessori abituali e rari, tra materiale documentato e altro completamente inventato. Il concetto di lusso viene introdotto proprio in questo periodo attraverso la creazione di atelier a tema. I tessuti evidenziano una concezione di illusione ottica e un’apparenza materiale di esteriorità e parvenza. La ricerca è incentrata su una codificazione dell’apparenza e conseguente strategia politico-culturale mirata ad unire i due Paesi.

Diversa e articolata invece la ricerca di Alice Dusapin, editrice daella rivista “Octopus notes”, in connessione tra critici, artisti ed Università, e curatrice artistica del project space “Ampersand”, a Lisbona. La sua esposizione dedicata a Wolfgang Stoerchle è in programma al Macro di Roma fino al 27 giugno. La ricerca per Villa Medici è invece fondata sull’opera di Bern Porter, artista e poeta americano legato alla scena artistica degli anni Settanta e molto noto nella West Coast americana. Fisico, gallerista, poeta visivo e sonoro, Porter ha affascinato la storica autodidatta per la sua ecletticità: attraverso un lungo percorso di archivi inediti, Alice ha ripescato documenti originalissimi che denotano una continua invenzione creativa, specialmente nella tecnica del collage applicato, e di cui pubblicherà a breve un saggio.

Scrittore affermato con numerosi pubblicazioni all’attivo in Francia, tra saggi, poesie e romanzi, è Anne-James Chaton, il cui progetto di residenza sfrutta il suo soggiorno romano per verificare quotidianamente la veridicità delle affermazioni dello scrittore latino Plinio il Vecchio contenute ne La Storia Naturale. Un percorso che evidenzia i legami nel passaggio tra passato e società contemporanea anche se le sue sono ipotesi, concetti manipolabili e liberi di interpretazione. Nella visita al suo atelier è in corso anche una interessante esposizione giocata tutta sul processo della sintesi come elemento analitico per una visione contestuale della società: lo scrittore ha raccolto infatti le ricevute dei biglietti ricavate da mezzi di trasporto, visita alle mostre, negozi di alimentari e altri momenti della quotidianità per ricostruirne, attraverso il testo e i dati inseriti in ognuno, le storie di chi li ha prodotti, un’interessante forma di comunicazione probabilmente mai utilizzata ora, nel recupero della memoria del nostro vissuto, per farne addirittura una mostra!

Nell’ambito delle arti letterarie è presente a Villa Medici anche Félix Jousserand, un poeta che ha deciso di sviluppare il proprio progetto sulla scrittura di un oratorio diviso in cinque testi in versi misurati, di cinque atti ciascuno, tesi a ripercorrere le grandi ore della dinastia degli Antonini, seguendo il regno dei cinque imperatori che condussero l’Impero al suo apogeo prima di accompagnarne la caduta: Traiano, Adriano, Antonino, Marco Aurelio e Commodo. Attraverso il confronto tra i potenti secondo i vari aspetti di economia politica, architettura, estetica artistica e prosperità, si vuole scavare nelle analogie e differenze tra il passato dell’ “age d’or” e il presente contemporaneo. Una particolare analisi è quella della sorte del Cristianesimo in questo periodo pagano, come anche quella sulla famiglia e sul suo principio elettivo al potere, che dona stabilità proprio attraverso un meccanismo che si ripete. Se i figli biologici hanno automaticamente successo al governo dell’Impero, le mogli sono concepite per custodire il senso di questa tradizione. L’idea è quella di una rappresentazione oratoriale drammatica con 5 attori e un cantante.
Pioniere della scena slam francese, Félix non si è fatto intimidire dal lockdown: in questi mesi ha già tradotto in francese e pubblicato la raccolta Il n’y a pas que Beyoncé (There are more beautiful things than Beyonce) della poetessa americana Morgan Parker e, insieme alla compagnia 2L ha lanciato L’ENTERREMENT DE DAVID B un lavoro teatrale tra musica e lettura.

Interessantissimo e coraggioso il lavoro del fotografo Georges Senga, che sviluppa il suo lavoro di fotografia intorno alla storia e alle storie che si rivelano nella “memoria, nell’identità e nella tradizione”, facendo luce sul nostro agire e sul presente. Il progetto che ha scelto di portare avanti per Villa Medici si intitola Comment un petit chasseur noir Païen devient prêtre Catholique e nasce dal suo incontro nel 2017 con la figlia di un prete cattolico che, in quanto tale, non avrebbe dovuto avere figli. Durante questo incontro, la figlia del sacerdote mostra una borsa contenente numerose diapositive non datate, appartenenti al padre deceduto nel 1989. Il progetto di Georges Senga ripercorre il viaggio di questo prete cattolico, Bonaventure Salumu, dal suo villaggio al suo soggiorno in Europa. La storia che ha affascinato il ricercatore è dunque un pretesto per compiere un’indagine storica sulle tracce della colonizzazione religiosa bianca in Congo e verificare il livello di interazione tra preti cattolici e popolazione locale. La documentazione è presa in primis dal libro “Le seigneur des foret” e ripercorre il rapporto del prete con la sua famiglia a partire dalle fotografie per indagare le ragioni che lo hanno spinto a sposarsi. Un percorso che vuole approfondire anche le sue tracce personali nel rapporto con la storia, il costume la famiglia e le proprie radici analizzate da un punto di vista socio-religioso. Si vuole comprendere la visione del prete dal di dentro e quanto lo hanno spinto le circostanze (la moglie era anch’essa una suora e nella stessa epoca i Congo diventava Zaire) a cambiare vita.

Gli architetti Alice Gregoire e Clément Perissé, fondatori dell’agenzia Cookies con sede a Rotterdam e specializzata in progetti culturali, pongono ecologia ed ambiente alla base del progetto di ricerca per l’Accademia di Francia a Roma. I due, che studiano da sempre le interazioni tra arte e paesaggio, si prefiggono un’analisi dettagliata, sopra e sotto, del territorio geologico italiano attraverso una linea che parte dal Tirreno per arrivare all’Adriatico. I risultati di questo esame sfoceranno in un trattato che spiega la geologia del territorio italiano attraverso i materiali naturali e le opere rudimentali ricostruite dall’uomo. Il loro obiettivo è mostrare se è possibile e quali siano le modalità per rinnovare un patrimonio artistico e naturale che a volte si presenta ricercato e studiato nei minimi particolari, altre volte è approssimativo. Di recente hanno partecipato alla conferenza in streaming “Il nuovo volto delle città dopo l’emergenza”, organizzato dall’ Institut français in collaborazione con l’Università Roma Tre e Villa Medici.

Estefanía Peñafiel Loaiza è invece un’artista dalle molteplici esperienze e sfaccettature. Di origini ecuadoreñe, per il suo progetto Les villes invisibles (Carmen) si è ispirata a una doppia storia che unisce il ricordo di una donna scomparsa nei primi anni Ottanta in Ecuador e la presenza evocatrice di un quadro dipinto oltre un secolo fa: “Il quarto stato”, una copia del quale era presente in casa dei suoi parenti. La sua domanda è: che cosa sarebbe successo se anziché scomparire e morire nel suo Paese la donna fosse partita clandestinamente per Roma? Il potere dell’immaginazione che parte proprio come finestra da quel quadro è la spinta propulsiva di questa ricerca, che si avvale di varie risorse iconografiche dell’epoca sulla figura femminile. Il suo itinerario artistico durante questo soggiorno romano costituirà una sorta “diario di bordo” che racconterà il viaggio dell’artista nella capitale sulle tracce di questi fantasmi. E proprio i fantasmi sono all’ordine del giorno di tutti i suoi progetti, nella ricerca dei passaggi occulti di persone nei luoghi che esplora. Un esempio ne è stato nel 1998 il suo lavoro sulla recente Costituzione del suo Paese di origine, l’Ecuador, in cui si denota come la storia cambia dalle parole alle immagini nel corso del tempo, o in “Carthograpie”, un altro lavoro che ripercorre la storia dell’Ecuador attraverso il dialogo con altri artisti. Un’altra opera realizzata è la raccolta in clessidre delle parole prese e ritagliate dai giornali che rappresentano sinonimi: in questo caso l’obiettivo era quello di trasmettere il senso dei media attraverso l’immagine. Altra sua caratteristica, infine, è il montaggio e rimontaggio di materiali in luoghi con nuove caratterizzazioni semantiche del tempo. Recentemente Estefania ha partecipa to alla mostra collettiva “La vie des tables” curata da Claire Le Restif al Centre d’art contemporain d’Ivry – le Crédac con serie “Measuring silence”.

Docente attualmente alla Scuola Nazionale Superiore del Paesaggio Simon Boudvin ha concentrato la sua ricerca per Villa Medici sull’analisi dell’architettura, della sua trasformazione e della sua destinazione tra passato e presente. Lui stesso vuole esplorare, attraverso i materiali delle stesse costruzioni, la ridefinizione del ruolo della città nella sua storia, nel corso del tempo e dei cambiamenti sociali e geologici. Il progetto è contestualizzato nella Roma di fine degli anni Settanta, quando la Città fu sezionata dalla creatività di 12 architetti, figure di spicco della scena postmoderna europea e americana, proiettandola in un’ucronia che ruppe con il funzionalismo e le utopie degli anni precedenti dando nuova vita alla dinamica del tessuto eterogeneo esistente. Questa rottura fu ben presentata in una mostra, “Roma interrotta”, con la quale s’inaugurò un nuovo stile: Bouudvin propone dunque di adottare questo punto di partenza storico per fare del suo tempo di residenza il tempo della scoperta di Roma e delle costruzioni influenzate da questo ultimo periodo. Recentemente il saggista ha presentato alle Edizioni B42 il volume “AILANTHUS ALTISSIMA une monographie située de l’ailante”, incentrato sul percorso e sviluppo decennale di una popolazione di ailanti per dieci anni in un territorio all’este di Parigi, tra i comuni di Bagnolet e Montreuil.

Mathilde Denize è un’artista di arti plastiche, la cui pratica è orientata verso la pittura, l’installazione e la composizione scultorea, la performance e i video. Le sue opere sono allestimenti di forme dimenticate e anonime, testimoni di un’archeologia contemporanea dove la rappresentazione della figura umana è costantemente messa in discussione. E proprio la città di Roma e Villa Medici saranno i suoi nuovi spazi di ispirazione per la creazione di installazioni e video inediti: “per me – spiega – Roma rappresenta una sorta di théâtre-tableau ideale come fonte di ispirazione e il mio lavoro è proteso a filmare la pittura attiva nell’atto della sua creazione”. Il suo progetto si intitola infatti Introduire le vivant e associa performance e danza, per coltivare l’essenza dei suoi “Quadri-teatro”. Il suo stile è caratterizzato dall’assemblage di varie forme, figure, linguaggi proiettati nello spazio. In lei vi è una continua ricerca della figura e della sua identità. La sua ricerca parte dall’arte figurativa semplice per arrivare al tridimensionale della figura nello spazio. Recentemente Mathilde ha partecipato alla mostra collettiva “Eyes Closed” presso la Galerie Perrotin di Parigi, una cosmografia personale degli artisti in cui diversi viaggi emotivi, culturali e affettivi si mescolano e fanno eco gli uni agli altri.

Lo scultore Jacques Julien è un emblema della filosofia impressa nella materia. Il suo progetto a Villa Medici ha come punto di partenza l’esempio delle Finte sculture di Pino Pascali e vuole intraprendere un percorso a ritroso nella storia fino al Colosso di Costantino. L’artista vuole sperimentare le risonanze e le sfide della questione del simulacro – inteso come il simulacro che non è mai ciò che nasconde la verità – nella pratica della scultura e nel suo rapporto con il mondo.
L’immagine sottintesa sotto la scultura è infatti ciò che interessa veramente l’artista, una specie di sottotesto che sa comunicare tra il fuori e il dentro. Julien ama studiare la percezione della scultura nell’atto di trasformazione nel tempo: un esempio ne è il passaggio dalla scultura povera all’arte povera. La sua filosofia si concentra sull’atto della premeditazione e della riflessione dello scultore prima di scolpire, nella sua esperienza interiore passata anche attraverso vari territori reali precedenti che lo conduce a quel particolare tipo di reazione. Per lui la scultura finita è un frammento di qualcosa di più grande e sottolinea la difficoltà di imprimere l’immaginazione con l’atto del divenire.

Dulcis in fundo c’è Apolonia Sokol, artista il cui talento è attualmente espresso in una mostra collettiva organizzata dalla Fondazione Memmo, “Conversation Piece | Part VII, Verso Narragonia” per la quale ha sviluppato una tela gigantesca ispirata a “La nave di folli” di Albrecht Durer. Il lavoro è iniziato proprio al suo arrivo a Villa Medici e si è concluso con un risultato sorprendente che esprime questo senso di oppressione e di ambizione all’evasione con un gigantesco tableau aggettante di cinque metri di larghezza; una visione “distorta” su un telaio estroflesso che riproduce oltre sessanta figure femminili, tra cui amiche, conoscenti e persone amate dalla stessa artista, e in cui sbucano anche alcuni suoi autoritratti. Il suo progetto a Villa Medici s’ispira e rende omaggio alla figura di Artemisia Gentileschi. Apolonia fa parte dei 12 artisti da seguire assolutamente secondo il sondaggio realizzato da “Artnet” presso i maggiori curatori, consulenti e art dealers internazionali, pubblicato il 1° febbraio 2021.

La creatività dei sedici borsisti di Villa Medici si è messa a confronto in un progetto innovativo alquanto originale. Da poche settimane è infatti nata “Ecco” la rivista online dell’Accademia di Francia della cui redazione fanno parte tutti loro. Si tratta di un magazine a cadenza mensile con argomenti tematici su cui ognuno dirà la sua per le sette uscite in programma da gennaio a luglio 2021. La rivista è sfogliabile online al sito http://ecco-revue.com/