AssenzA

Ricominciare dal bianco, simbolo dell’essenza ed essenzialità di tutte le cose, o meglio annullarsi alla ricerca di esso è alla base della tecnica di sottrazione che il fotografo Maurizio Gabbana – grande “manipolatore” di camere analogiche e digitali – imprime nel suo nuovo ciclo di opere denominato AssenzA, presentato a Roma in una suggestiva e originale esposizione presso la galleria Art G.A.P.
Liberarci dagli orpelli del surplus quotidiano per ricercare i valori dell’essere e il contatto con una natura che mostra i suoi lati di madre spogliata e violentata è semanticamente il messaggio che traspare nelle opere esposte – trenta rispetto alle settanta immagini contenute nel volume edito da Antiga Edizioni e stampato a forno led, che accompagna la mostra, i cui proventi andranno in beneficenza.
L’esposizione, visibile liberamente fino al 25 marzo, raccoglie una sintesi del percorso interiore compiuto dal “sognatore” Gabbana nella sua interazione con contesti urbani di vario tipo, e con angolature che somigliano all’obiettivo di una macchina da presa in grado di cogliere scenografie espressive e inglobarle a tutti gli effetti in una “cinematography” artistica. A prima vista litografie, le immagini presentate sono fotografie depauperizzate di contrasti, toni, sfumature e colori mediante un lavoro di spoliazione di pixel che ne ha fatto fuoriuscire l’elemento che le accomuna tutte – nonostante gli spazi e i contesti diversi: il non colore bianco, appunto. Attraverso lo sguardo privato del dettaglio in eccesso, l’occhio interiore riesce ad interagire colmando con una propria fantasia il bentolto e il dialogo con il fruitore si fa, in questo ambito, risolutivo. Alle prese con panorami metafisici, esistenzialisti, fantascientifici che altro non sono che gli scorci di certe metropoli che conosciamo bene (in mostra, tra gli altri scatti, la Barcellona di Gaudì, la Roma del Milite ignoto, la Parigi del Louvre e la Pavia della Certosa fotografata dagli stabilimenti Galbani di fronte) l’osservatore si sofferma infatti su questa nuova vacuità creata, per ricostruire soggettivamente quel pezzo di certezza che gli viene (fortunatamente) negata, usando liberamente la propria immaginazione. Che senso avrebbe, infatti, l’arte visiva senza la possibilità di un confronto con il vedente? Gabbana chiama a dialogare il visitatore proprio a partire dall’assenza del già detto, fotografato e vissuto. Ripartire da zero per riscoprirsi è una fonte d’ispirazione che smuove il senso percettivo dell’“umano troppo poco umano” per restituire all’istinto emotivo il suo necessario connubio con la cognizione dell’opera d’arte. Alla pari del curioso fotografo, che scava nell’anima della fotografia per cercarne un’autonomia dal reale, il sorpreso spettatore sfruguglia la sua anima alla ricerca delle proprie radici, esattamente come quella donna, ritratta in un doppio sguardo (in negativo e positivo su tela) che osserva il mare e vi si abbandona. L’elemento che ci culla e ci protegge è lontano dalla sovrapposizione dell’inutile che schiaccia le nostre esistenze riducendole ad automatismi: serve, per l’artista, quella luce che riporta all’autoascolto e ad una riflessione sul proprio io denudato che solo l’accecamento di un lampo, sicuramente bianco, può provocare. Il processo di desertificazione spirituale espressa dall’artista in questo articolato percorso espositivo (su due piani) ha la caratteristica di insinuarsi in opere dal contesto ampiamente diversificato ma che sono collegate da un fil rouge (anzi blanc) che ne esalta la specificità, conferendo uno stile programmatico e significativo, garbatamente filosofico, al loro autore. Ad aggiungere un tocco sinestetico ed espressivo ai pannelli è una colonna sonora che, inversamente, ne restituisce la “presenza”: artefice ne è la compositrice Roberta Vacca – con cui Gabbana ha già lavorato insieme nel progetto video “Con la luce negli occhi” (visibile su YouTube), che anche in questo caso ha elaborato una partitura elettronica ad hoc ricostruendola proprio attraverso la sottrazione di alcuni frammenti sonori tratti dal I Movimento della V Sinfonia e l’Inno alla gioia dal IV Movimento della IX Sinfonia di Beethoven. “Il mio movimento si è basato su due archetipi – afferma lei stessa – con significati ben precisi e universalmente riconoscibili: l’uomo che lotta contro il destino e la rinascita”. Sono parole, esattamente come le intenzioni di Gabbana, che ci riportano ad un’attualità sconfortante, quella della pandemia, fonte di isolamento da un nemico-destino invisibile, e quello della guerra, la cui fine è segno di ri-generazione. Al drammatico scenario del conflitto russo-ucraino di questi giorni Gabbana ha dedicato un’opera fuori programma, realizzata tempo fa, al centro della quale un palloncino a forma di cuore (unica nota di colore, rosso acceso, su fondo bianco) viene librato in aria da un bambino per scuotere la sensibilità di adulti immobili e indifferenti ed aprirla alla pace.
Presenti alla serata inaugurale, oltre all’autore, la giornalista Annamaria Barbato Ricci, il professore di Architettura Rosario Giuffrè, Annalisa Di Domenico, docente di Filosofia, e Federica Fabrizi, Storica dell’Arte.

Fonte

Elisabetta Castiglioni