L’AMICO IMPERFETTO

Di imperfezioni ce ne sono tante nella vita e quelle interiori la rendono anche più autentica. Ci sono degli svisamenti che però diventano distorsioni naturali e, alimentate dalla noncuranza e da un pizzico di egocentrismo (che senz’altro va a braccetto con l’insicurezza) sono bombe a orologeria per chi le subisce. Rosario Galli, nel suo primo romanzo (dopo la scrittura di svariate e fortunate pièce teatrali) cerca di metterne a fuoco alcune che, a primo acchito potrebbero far inferocire il pubblico femminile. Sì, perché L’AMICO IMPERFETTO, pubblicato dalla giovane e coraggiosa casa editrice fila37, è una storia di storie che fanno tutte capo a un viveur, il Principe. Spregiudicato e irascibile amatore e detentore di altri vizi (tra cui il poker), l’uomo dalle mille energie e poche preoccupazioni è attratto fin dalla più giovane età, dall’universo “Donna”, nella fattispecie dalla sua sensualità e dalla sua apparenza estetica, acciuffando senza perdere un colpo tipologie femminili di ogni tipo, e non curandosi della scia che la sua passione si porta dietro mettendolo a rischio di violenze, ricatti e disperazione. La “Femme perdue” è sola nell’illusione che qualche notte d’amore le abbia portato una compagnia stabile: dall’altra parte c’è in realtà un “amico” che vuole condividere un sogno fugace e passionale con poche parole e altrettanta poca forza d’animo per non capire le stilettate che sferra, di volta in volta, alle sue vittime. Un collezionista di cuori infranti – ma dal suo punto di vista un collezionista di corpi e per questo imperfetto – che solo nel fallimento del suo unico colpo sentimentale, una moglie e tre figlie femmine, riesce a capire la sua fragilità e impossibilità di una trasformazione e comprende al contempo l’inevitabilità del suo intrinseco dolore, dal momento che la natura non si cambia (o non si vuole cercare di cambiare?). Impossibile quindi giustificare concettualmente, dal punto di vista femminile, il tenore di vita di un maschio che nei suoi racconti si dilunga sui particolari prevalentemente erotici della donna, ma apprezzabile è la sincerità della sua apertura nell’autoanalisi che compie – forse l’aspetto più empatico della narrazione – che raggiunge angoli di tenerezza nella relazione col suo migliore amico, l’unico intimo confidente che, al contrario, non ha avuto la fortuna di trovare “quella giusta” e che dispensa saggi consigli, comunque inascoltati, prima di morire prematuramente.
I dodici ritratti al femminile che la penna del Principe descrive sono quelli di Mylene, Amelie, Xenia, Dora, Elena, Caterina, Alessia, Miriam, Beatrice, Emma, Roberta, Yvelise: c’è il fascino parigino della donna matura, c’è la sposa che lascia inutilmente il marito venendo plagiata da un amante inconsistente che poi scappa, c’è la compagna di sesso sfrenato che però si attacca all’uomo che uomo non può dimostrarle di essere, c’è la coautrice di emozioni “mordi e fuggi” che scompare improvvisamente, c’è la moglie fedele che intuisce e si affligge ma non reagisce neanche dopo la separazione… C’è insomma un mondo concentrico e pirotecnico che ruota nella testa di un protagonista che scrive appunti per fissare su carta ogni parte di quella madre, sorella, amica con cui non è mai riuscito ad avere una relazione serena, componendo negli ultimi tratti della sua esistenza un’autobiografia a singhiozzo, poi scoperta da un’altra donna, una delle figlie, la più ribelle, che ha deciso di “osare” pubblicandola.
L’autore parla di fatti ispirati ad una figura realmente esistita, della quale ha elaborato in un certo senso il proprio lutto interiore – la morte dell’ascolto altrui – ma cercando di esaltarne la costante via di fuga. Il suo limbo, quel “Nulla” da cui fa scrivere il suo protagonista in prima persona, è un Nulla da cui non si esce, ma nel quale possono spurgare i ricordi di un’esistenza esteriore e subconscia. Quel Nulla è la meta di un viaggio con molteplici deviazioni, una tappa ricercata e obbligata nella quale si riesce finalmente a ritrovare la calma e a meditare sul personale vissuto, prima di lasciare tutto. Ecco, questa è la base da cui si sviluppa il travagliato percorso di un Principe (non d’animo, non di nobili azioni) che ricerca il proprio Io aggrappandosi all’Altro (alle altre) e che fa slalom tra errori e sentimenti evitando accuratamente di prendersi un bel palo in testa. Non servono le parole di Luciano, il suo onnipresente confessore (“se ami davvero una donna non ti viene il desiderio di averne un’altra, vuoi stare solo con lei, sempre e solo con lei, puoi dedicarti a lei, non è possibile dividerti con un’altra… in realtà bisognerebbe solo capirsi quando si usano quelle parole, amore, affetto, bene, l’amore è un concetto troppo vasto per restringerlo a ciò che si prova per una donna”) per un uomo che ribatte “si può amare una donna, anche due o tre contemporaneamente, in modi diversi, decidendo cosa costruire con una e cosa con le altre”, perché le sue continue e gioiose scoperte al femminile denunciano una cancellazione dell’attesa e un sopraffarsi del gesto istintivo e nonpensante. Uomo contro donna? No, nel messaggio che filtra gradualmente dai racconti intersecanti che sfiorano contemporaneamente e senza un ordine cronologico i fatti accaduti, c’è il lento galleggiamento di una persona senza personalità che vede affiorare le proprie debolezze allontanandole (ma solo alla fine) dalle false chimere provocate. Un libro da godere senza innervosirsi troppo, perché l’intelletto, quello spostato dai piaceri dei sensi e accompagnato da una riflessione immersiva “da remoto” dello stesso tombeur de femmes, straborda in larghi tratti contaminando con acume il piacere della lettura.

Fonte

Elisabetta Castiglioni