ONCE I WAS

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SCHEDA TECNICA

   

Titolo:

ONCE I WAS.
OLTRE LA STORIA DI TIM E JEFF BUCKLEY

Data:

20 ottobre – 1 novembre 2015

Luogo:

Teatro Spazio Uno

Scritto, diretto e interpretato da:

Francesco Meoni

Con

Vincenzo Marti (voce e chitarre)
Mario Caporilli / Toni Mancuso (tromba e flicorno)
Danilo Valentini / Luca Figlioli (chitarra)
Nicola Ronconi / Alberto Caneva (basso)
Rocco Teora / Salvatore Caruso (batteria)

Orari:

da martedì a sabato ore 21 – domenica ore 18

Ingresso.

€ 15 (intero) – € 10 (ridotto)

COMUNICATO STAMPA

Tim e Jeff Buckley: un padre e un figlio, che condivisero troppo poco tempo insieme ma molto tragico destino. Questa è la vita ma anche la trama narrativa di ONCE I WAS, lo spettacolo di teatro e musica concepito, scritto, diretto e interpretato da Francesco Meoni che parte dalla storia dei due musicisti americani, vissuti tra gli anni 60 e 90, per indagare il loro mancato rapporto padre-figlio e che sarà in scena dal 20 ottobre al primo novembre al Teatro Spazio Uno di Roma..
Un excursus poetico che alterna la storia delle loro vicissitudini personali alle loro carriere lungo un binario che, se nella loro sfortunata esperienza raramente si incrociò, sul palcoscenico è messo in prima linea tramite una partitura interpretativa integrata dal vivo da un organico di validi musicisti che vede in scena Vincenzo Marti (voce e chitarre), Mario Caporilli e Toni Mancuso (tromba e trombone soprano), Danilo Valentini e Luca Figlioli (chitarra); Nicola Ronconi e Alberto Caneva (basso) , Rocco Teora e Salvatore Caruso (batteria).
Un linguaggio unico nella quale gli spunti sonori degli hits dei Buckley (da I Never Asked to Be Your Mountain e Once I Was  di Tim a Grace e la reinterpretazione di Halleluyah di Jeff) lasciano spazio ad una confluenza ininterrotta di note,  parole,  sentimenti ed emozioni nel quale la trama emotiva delineata dalla necessità di dire o dall’urgenza di spiegare le ragioni della solitudine o delle incomprensioni generate si fa tessitura di uno spettacolo psicologicamente complesso ma che ben contestualizza anche le radici e sviluppi di un pezzo della storia rock americana.    

Hanno detto dello spettacolo:

Meoni, insomma, vince la sua sfida: quella di raccontare una storia ancora non abbastanza conosciuta, a cavallo tra il fascino dei favolosi anni ’60 americani e il ruvido splendore dei ’90, l’ultima grande epoca dei cantautori. E di strappare perfino una lacrima, nel ricordo di due geni che il mondo ha perso prima di riuscire a conoscere fino in fondo.
Fabrizio Corgnati (“Saltinaria”)

A volte l’impossibile può realizzarsi su un palco e Meoni c’è riuscito magistralmente.
(“Your dreams”)

Tutta la “Grace” (la grazia, proprio come il titolo dell’album che lo rese celebre) dell’artista riversata sul palco tra le lacrime di rabbia di un Meoni in stato di grazia. Teatro e musica da vedere e ascoltare.
Antonio Soriero (“Soverato news”)

Si ravvederà anche lo spettatore scettico, che crede di assistere a un concerto-parlato pieno di belle cover, perché “Once I was” è un’indagine nell’anima, negli errori, nelle possibilità, nelle amicizie e nei dolori, non è un album di famiglia, non è un carosello di melodie, è la riflessione di un padre-fantasma (nel vero senso della parola) che perdona suo figlio e si perdona, per sempre.
Samantha Catini (“Fuori campo”)

Un vero e proprio volo sulle ali della canzone teatro, un viaggio nelle vite di Tim e Jeff Buckley tra sofferenza, sensi di colpa e grande musica.(…) Da vedere con le orecchie ed ascoltare con il cuore…
Luca Bussoletti (“Tag 24”)

Un sogno che non smette di accompagnarmi e insegnarmi la Grazia del vivere. Tim, Jeff e il miracolo della Musica, come luogo d’incontro di anime erranti, una alla ricerca disperata dell’altra, come unica possibilità di essere Altrove, eppure immersi nel mondo.(…) Questo è un autentico tributo d’amore, e credo che Lassù qualcuno sia grato all’autore.
Grace of tree (“Just Kids”)

Un appuntamento mancato, così Francesco Meoni descrive il rapporto fra i due artisti distanti eppure così indissolubilmente legati, stretti nella stessa morsa artistica, dall’urgenza di dolore. (…) O forse non è ancora finita, forse c’è un “altrove” un “oltre” la vita di Tim e Jeff Buckley, dove l’onda non fa paura, dove il rumore del mare è una video-installazione che conforta: su quell’onda i due cantano insieme e non sono padre e figlio, del resto non lo sono mai stati, sono solo due coetanei amanti della musica e sposi fedifraghi della vita.
Adriano Sgobba (“Recensito”)

Ci hanno commosso le sue lacrime a fine spettacolo e ci ha toccato nel profondo il suo viaggio, più che riuscito, nelle vite di due ragazzi diventati uomini troppo in fretta ed hanno colmato i vuoti che loro stessi hanno generato con l’alcool e la droga. Gli anni 70 son stati anni difficili.
(Giovanni Pirri, “All Info”)

Francesco Meoni scrive e interpreta, racconta e si dimena, beve come una spugna e canta i pezzi di Tim (Song to the Siren, I Never Asked to Be Your Mountain, Once I Was), mette su vecchi vinili, ci strattona e ci sbatte sul saliscendi di questa doppia parabola musicale, vibrante, senza eguali, magnifica pur nella sua drammatica eco. Ad assecondarlo c’è il contrappunto fedele di una band di cinque, chitarre elettriche da anni d’oro del rock, una tromba in sordina dolorosa come un lamento, basso, batteria e la voce angelica di Vincenzo Marti a rifare i pezzi di Jeff (su tutti la cover di Calling You).
(Gabriele Guerra, “Freequency”)

La storia singolare è di padre e figlio musicisti, entrambi scomparsi intorno ai trent’anni, il protagonista ha interpretato il padre non da attore, ma è stato come se un Tim Buckley redivivo, fosse tornato su questa terra per raccontare e spiegare la versione della storia della sua vita. Meoni, ricco di energia e passione, è riuscito a materializzare l’inadeguatezza di questo musicista innovativo che non voleva piacere al pubblico a tutti i costi ma solo “cavalcare la bellezza della spontaneità”.
(Bianca Coppola Melon, “Gufetto magazine”)

(…) non solo l’autore sceglie di cimentarsi con la vita di due icone della cultura musicale degli ultimi 50 anni, ma lo fa osando anche un doppio salto mortale, ossia cantando dal vivo le loro canzoni, accompagnato da tanto di quintetto. La notizia è che la scommessa è vinta, per almeno tre ragioni.
La prima è squisitamente musicale. Al netto della irragiungibile voce di Tim, Meoni riesce a rendere credibile la sua rappresentazione, sia perchè ricuce il filo perduto tra biografia (vita) e musica (testi), sia soprattutto perché sceglie di non rifare il verso a papà Buckley, ma trasforma le sue canzoni in qualcosa di diverso e personale (su tutte PLEASANT STREET
che diventa quasi un brano di rock duro). Dal canto suo, Vincenzo Marti che interpreta Jeff è impressionante, vuoi per la capacità di replicare certe sfumature della voce di Buckley figlio, vuoi per la padronanza chitarristica, ben coadiuvata dal gruppo.
La seconda è sostanziale: raccontando la tormentata vita di Tim (figlio di un padre violento e ostile) e Jeff (abbandonato da Tim ancor prima di essere nato, ignorato in infanzia, orfano di padre a 8 anni, una vita passata a confrontarsi con l’assenza del genitore e la sua ingombrante eredità) Meoni obbliga gli spettatori a confrontarsi con il proprio esseri figli e, per chi lo è, padri (più o meno mancati). Anche qui il cortocircuito tra i testi e la vita reale è sorprendente, con l’aggiunta di brani (in parte “romanzati”) dal diario di Jeff che trafiggono per sincerità e lucidità.
La terza è del tutto personale: ONCE I WAS mi ha fatto capire una volta per tutte perchè Tim Buckley mi ha sempre parlato al cuore. Un ricordo su tutti: a 17 anni, i giorni antecedenti la morte del mio amato nonno paterno. Per non sentirlo rantolare mettevo a tutto volume BLUE AFTERNOON, il disco più malinconico eppure catartico che abbia mai sentito. Grazie a questo spettacolo ho capito che Tim Buckley non ha fatto che cantare sempre questo: il lutto del figlio
che non riesce a svincolarsi dal padre e soffoca nella inefficace ribellione (droga, politica, sesso, ecc.) la mancata libertà.
Dato che siamo tutti vittime di vittime, anche Jeff ha dovuto pagare il conto, perché non è riuscito a spezzarlo, nell’unico modo che conta: amando un figlio come non siamo stati amati noi.
(Guido Chiesa)

Struggente, malinconico, riverberante. Once I Was di Francesco Meoni è uno spettacolo che davvero – passo dopo passo, nota dopo nota, parola dopo parola – riesce a insidiarsi felpato nelle viscere dell’anima, e poi da lì esplodere in un violento vortice di sensazioni e di sentimenti. Di emozioni. Vissute (forse non da tutti) e rivisitate dall’ammaliato
spettatore (come per magia, grazie a questa incisiva narrazione scenica) tramite il geniale circuito che il regista interprete ha così spontaneamente saputo costruire, per poi andarsi a tramutare in suo severo ma sensibile testimone. E messaggero.
(Daniele De Vivo, “Il Paroliere”)

Meoni mette in scena una storia reale, specifica, ma anche la storia di ogni padre e di ogni figlio, aprendo un varco alla riflessione sulla condizione umana, sulle paure e sulle difficoltà di vivere fino in fondo, senza compromessi, la propria arte e la propria vita.
(Marina Capasso, “Italia Magazine”)

Meoni qui regista di uno spettacolo in cui emerge tutta la sua sensibilità e la passione per le dinamiche umane, autore di un monologo in cui il dolore di una vita intreccia e catalizza quello dell’altra ed entrambi penetrano orecchie e cuore, con pezzi come “Blue Melody” e “Dream Letter”…
(Valeria De Medio, “Lab creativity”)

“Once l was”, scritto diretto ed interpretato da Francesco Meoni, è uno spettacolo che va oltre il racconto della storia di Tim e Jeff Buckley. È concerto, grazie ai bravissimi musicisti tra i quali spicca VIncenzo Martl che quando canta Dream brother fa venire i brividi. E’ poesia, grazie all’intensità dei monologhi di Meonl. E’ indagine del doloroso rapporto tra un
padre troppo giovane ed un figlio cresciuto troppo in fretta.
(Arianna Marsico, “Mescalina”)

È questo il teatro che si dovrebbe sostenere, il teatro delle idee innovative, il teatro recitato quasi alla perfezione, il teatro di divulgazione culturale, il teatro dell’emozione; questo spettacolo entra nell’anima, la riempie, la fa soffrire e la commuove. Solo assistendo alle repliche potrete capirne il “sottobosco” che si cela dietro la sua lettura superficiale.
Perché la pièce va oltre: oltre tutte le aspettative, oltre la bellezza di quelle canzoni, oltre la bravura di Francesco Meoni e, soprattutto, oltre una semplice rappresentazione di una storia che va vista con gli occhi ma ascoltata con il cuore.
(Chiara Parisi, “Open Mag”)

Parole che si intrecciano in un racconto sonoro di uno spettacolo ben costruito, vissuto intensamente dagli interpreti, in cui tutto si amalgama fluidamente.
(Simona Ventura, “Persinsala”)

Meoni con un’intensità ed una partecipazione fuori dal comune, assume la prospettiva del padre che si rivolge al figlio tramite il suo diario, le lettere e soprattutto tramite le canzoni – rigorosamente eseguite dal vivo da una band di cinque elementi -, in una mistione riuscita ed emozionante di musica e teatro.
(Giulio Pantalei, “Target magazine”)

 

RASSEGNA STAMPA

 

RASSEGNA VIDEO

[spvideo]https://www.youtube.com/watch?v=S5cpBFa_p74&feature=youtu.be[/spvideo]

 

 

 

 

Elisabetta Castiglioni