IL MONDO SENZA INTERNET

Certamente la molteplice visione del film “Sconnessi” di Christian Marazziti come anche un intimo desiderio di far ritorno ad oramai ancestrali e genuini ritmi di vita sana, vera e vissuta senza l’incubo tecnologico quotidiano, deve aver ispirato ad Antonio Pascotto, attuale caporedattore di News Mediaset la scrittura de Il mondo senza Internet, saggio pubblicato da Male Edizioni di Monica Macchioni e di cui lo stesso Marazziti cura entusiasticamente la prefazione. Un volume che ha il pregio di essere un manuale d’uso per internauti smarriti nei meandri dell’etere come aiuto a ritrovare la propria strada del giusto equilibrio, ma anche uno sfizioso opuscolo per psicologi che studiano gli effetti del virtuale sulla personalità dell’individuo.

Come sarebbe svegliarsi una mattina e scoprire che, per motivi di sicurezza internazionale, Internet è stato bloccato per sempre? Da questa ipotesi, che incrocia alla fine di quasi ogni capitolo il condizionale di un possibile impossibile o comunque non concepibile (il mondo senza internet per l’appunto), si sviluppa una doppia strada, un percorso esistenziale immaginato in due dimensioni parallele, in cui il tempo mentale e fisico si allarga, restringe o coincide a seconda della presenza o meno del nostro interlocutore robotico, sia esso computer, smartphone o assistente vocale. A partire da un’analisi storica molto ben ragionata sulla nascita ed evoluzione di Internet, l’autore descrive la progressione del regresso come anche la regressione del progresso, mettendo a confronto l’innovazione e i benefici di utilità, accelerazione, conoscenza da essa apportati attraverso la rete e la perdita di controllo degli stessi benefit in mano ad eventi frutto di irresponsabilità, interessi economici o addirittura poteri politici, come ad esempio è stato il caso Cambridge Analytcs. Ed è curioso sapere come il numero dei “pentiti”, cioè di alcune teste che sono stati gli elementi chiave nello sviluppo di certi apparati, si stia ultimamente moltiplicando, vedendo tornare molte persone a rifugiarsi in lavori umili (oggi diremmo “vintage”) senza l’incubo di essere resi schiavi dalla macchina cibernetica.

A monte, l’autore infonde acute riflessioni sociologiche sulla devastazione cognitiva che ha condotto la nostra personalità singola a confluire in una intelligenza collettiva e connettiva che procede a movimenti di gregge nei meandri dei social media e che è rigidamente controllata dallo schema degli algoritmi, veri e propri ormoni che regolano le nostre scelte in base ai dati che inconsapevolmente forniamo al web. La catalogazione ragionata dell’opera in sette capitoli presenta una partita calibrata fra un vissuto ricco di valori e concetti respirati fin dall’infanzia e un orizzonte fermo e dilatato come uno schermo che ci invita a moltiplicare gli input percettivi all’infinito senza una mèta precisa. Le riflessioni di un uomo privato della tecnologia lo conducono a ritroso verso un mondo di ricordi in cui la memoria rievoca cose semplici – e curiosi sono i flashback personali dello stesso autore che si immerge nella naturalezza di un’esistenza che, a contatto col mondo “www”, sembra essere stata vissuta in un altro pianeta; ma un giovane nato insieme al telefonino connesso, che ricordi può avere e che cosa può imparare dalla sfera reale che lo circonda se è incollato 24h al “sistema” informatico causando a se stesso danni alla salute mentale?

Pascotto ci immerge in questo panorama attraverso un excursus che tocca anche un interessante vocabolario a cui dobbiamo abituarci: dal “microtargeting comportamentale” che analizza in dettaglio le nostre abitudini proprio attraverso i tasti che digitiamo su google e le scelte che facciamo, alla “psicografia”, tracciamento della personalità attraverso dati digitali; e si parla di “infobesity” per rilanciare il concetto di indigestione da troppa informazione,  come anche di “tecnostress”, che lascia trasparire un disagio quasi surreale quando un mezzo tecnologico non funziona. Un termine come “Internet Addiction Disorder” ci riporta al disturbo provocato dalla dipendenza tecnologica, mentre “postmodernismo” non si riferisce ovviamente ad un movimento artistico ma alla nostra era, basata sulla mercificazione delle nostre presenze. Il “siliconismo” deriva invece dall’origine del tutto, Silicon Valley, e si incarna in un sistema totalitario che regola la nostra vita attraverso algoritmi che violano la privacy e ci conducono ad un aberrante conformismo; viceversa, ’”umanità accresciuta” è un eufemismo utilizzato per ricordare come le nostre cellule cerebrali siano diminuite per l’uso sbagliato e ipercostante di certe abitudini informatiche: secondo monitoraggi dell’encefalogramma provenienti da studi di settore, la sua soglia di attenzione sarebbe addirittura più bassa di quella di un pesce rosso!

Acuta, inoltre, l’introspezione che Pascotto ci regala sul concetto di “tempo”, spaziando dai pensieri filosofici ai fisici per dimostrare quanto sia importante il ragionamento interiore sul distacco da un tempo regolato oggi, per la maggior parte dai casi, da chat e storie costruite in rete, che non sboccano in porti sicuri, se non in una cognizione deviata sul senso delle inter-relazioni umane. I concetti di condivisioni, i “mi piace” e i consensi derivati da un post, falsamente annullano le distanze tra gli individui mettendo a repentaglio la nostra identità: citando Baudrillard, l’autore ricorda infatti che nell’era del virtuale la realtà scompare e diventa il proprio contrario. E così il concetto di “felicità”, per quanto molti studi abbiano dimostrato che nell’età contemporanea si associ alla navigazione in rete (per sfuggire al concetto di solitudine”, per superare la crisi di mezza età, per rassicurare l’individuo sulla propria indipendenza economica nel potersi permettere il costo di essere connesso) sposta la sua semanticità su “non valori” considerati attualmente, ciononostante, del tutto primari, quali la necessità di ottenere consensi (con selfie, post condivisi o filmati molto spesso demenziali frutto di un istinto del momento) o di seguire in massa fenomeni di “oltremondo”: così Pascotto definisce gli youtubber e gli influencer, falsamente spontanei e strategicamente legati ad operazioni di marketing. Il mondo dell’apparenza, che gradualmente viene supportato dai cosiddetti “trafficanti delle armi digitali” FAANG (ovvero Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) corrisponde ad una comprovata inerzia dell’accettare indistintamente quello che offre un mercato sinuosamente pilotato da sistemi finanziari e hi tech e, abbrutendo le nostre capacità di scelta, provoca una sorta di “anedonia” sui rapporti interpersonali, non da ultimi i sentimenti: ne sono prova numerosi giochi di provenienza orientale in cui si interagisce con personaggi virtuali costruendo dialoghi e relazioni amorose per sentirsi “vivi”.

Purtroppo per Pascotto, come a lui comunicato da un eminente informatico nell’epilogo del libro, l’utopia di un non collegamento globale che ci riporti indietro verso spiragli di una vita genuina, resterà tale, se pensiamo che Arpanet, la rete da cui deriva Internet, è stata progettata per resistere addirittura ad attacchi nucleari (e tutto sommato, in un mondo colpito dalla pandemia, pare risulti assolutamente indispensabile!).  Eppure, aver preso in considerazione attraverso un libro questa possibilità ci riporta ad una domanda fondamentale: il mondo senza Internet sarebbe un incubo o un sogno? Alle generazioni di ieri, oggi e domani l’ardua (e naturalmente soggettiva) sentenza…

Il mondo senza internet
Connessioni e ossessioni – Dallo scandalo facebook alla quiete digitale
Antonio Pascotto
MAle Edizioni, 2020
Euro 15,00
www.maleedizioni.it

Fonte

Elisabetta Castiglioni